Il recente AI Action Summit di Parigi, tenutosi il 10 e 11 febbraio 2025, è stato organizzato per segnare un passo significativo verso una governance globale dell’intelligenza artificiale, ma si è rivelato un evento contrassegnato da divisioni e interessi nazionali contrastanti. La dichiarazione finale, firmata da oltre 60 paesi, tra cui Francia, Germania, Cina, India e vari stati europei, ha promosso una visione di un’AI inclusiva, sicura e sostenibile, con l’intento di favorire una governance responsabile e di supportare i paesi in via di sviluppo. Tuttavia, l’assenza degli Stati Uniti e del Regno Unito tra i firmatari ha evidenziato le profonde divergenze strategiche che continuano a segnare il panorama internazionale.
Il rifiuto di firmare da parte di Usa e Uk è stato uno dei temi più controversi del summit e gli Stati Uniti, rappresentati dal vicepresidente J.D. Vance, hanno criticato le proposte di regolamentazione, accusando l’Europa di voler frenare l’innovazione e affermando che la regolamentazione dovrebbe favorire lo sviluppo dell’intelligenza artificiale piuttosto che ostacolarlo e tale posizione riflette l’intenzione degli Stati Uniti di mantenere il proprio predominio tecnologico, evitando regole che potrebbero danneggiare la competitività delle aziende statunitensi. Le principali aziende tecnologiche come Google e Meta hanno espresso preoccupazione per le possibili restrizioni, preferendo un approccio più flessibile. D’altro canto, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato un piano di investimenti da 200 miliardi di euro per promuovere un’AI europea indipendente, puntando su giganti industriali come Airbus e Siemens. L’Europa, tuttavia, rischia di restare relegata a una posizione subordinata, senza una strategia forte che le consenta di competere con il modello americano.
Nello scenario europeo, la Francia ha cercato di capitalizzare sull’evento per rafforzare la propria posizione nel settore dell’AI. Il presidente Macron ha annunciato un investimento esclusivo di 100 miliardi di euro per il Paese, spingendo la Francia come il centro ideale per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale in Europa: egli ha sottolineato l’importanza di sfruttare il vantaggio competitivo derivante dalle infrastrutture energetiche, come quelle nucleari, per ridurre i costi legati alle infrastrutture AI, ma questa visione nazionale ha suscitato critiche, poiché ha oscurato gli sforzi collettivi europei e ha mostrato la difficoltà dell’Europa nel superare il nazionalismo tecnologico.
Nel frattempo, gli esperti del settore hanno sollevato preoccupazioni sui rischi legati all’intelligenza artificiale di livello superiore, come l’AGI (acronimo di “Artificial General Intelligence”). La direttrice del summit, Anne Bouverot, ha minimizzato tali rischi, definendoli come “fantascienza”, ma molti studiosi, come ed è stato evidenziato che l’AGI potrebbe essere una realtà a breve termine, forse già entro cinque anni. Nel complesso, il summit ha rivelato le difficoltà nell’armonizzare gli interessi e le visioni globali sull’intelligenza artificiale. Mentre l’Europa cerca di promuovere una regolamentazione più rigorosa, gli Stati Uniti e il Regno Unito spingono per una libertà maggiore, temendo che regole troppo stringenti possano ostacolare l’innovazione. La Francia, pur cercando di giocare un ruolo da protagonista, ha messo in luce le difficoltà di creare una visione condivisa e coesa. In questo scenario, l’intelligenza artificiale continua a evolversi senza una governance globale unitaria, alimentando il timore che gli interessi nazionali possano impedire una gestione responsabile e sostenibile. Se non si troverà presto un terreno comune, la rivoluzione dell’AI rischia di sfuggire di mano, con impatti imprevedibili sulle società e sull’economia globale. La domanda rimane aperta e ci si chiede ancora se siamo pronti a governare l’AI o ci affideremo, in futuro, unicamente alla sua auto-regolazione.
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