Lo scorso 7 gennaio i fatti di Washington hanno fatto irruzione nei notiziari di tutto il mondo, lasciandoci increduli e per certi versi sgomenti di fronte a quanto stava accadendo.
Tra le conseguenze dell’ingresso dei manifestanti con la forza a Capitol Hill vanno menzionati la tragica perdita di vite umane e la percezione che la spaccatura emersa nella società, non solo americana, è molto più profonda e difficile da risanare di quanto creduto.
Non è compito del team Giurismatico dare un giudizio politico rispetto all’accaduto, ma una delle conseguenze di questi fatti, ovvero la chiusura di tutti gli account social del Presidente in carica degli Stati Uniti, è uno spunto per riflettere su alcuni temi della cittadinanza digitale, argomento che ci sta molto a cuore e che osserviamo da sempre con particolare attenzione.
La maggior parte delle persone oggi ha uno o più profili censiti all’interno dei social network, e per creare la propria identità digitale ciascuno ha dovuto – più o meno consapevolmente – accettare le regole che le varie piattaforme propongono prima di far accedere chiunque alla propria piazza virtuale. Nel caso in cui non vengano rispettate le regole esposte, i gestori delle piattaforme hanno il potere di bannare il soggetto dalla propria piattaforma. In questo caso però le maggiori piattaforme di messaggistica e comunicazione, cominciando da Twitter, seguita poi da Facebook, Instagram e Youtube, hanno tutte provveduto a bloccare i profili di Donald Trump, di fatto riducendolo al silenzio.
Per la società odierna impedire l’accesso alla piazza virtuale è un fatto analogo a quanto avveniva nelle città-stato dell’antica Grecia tramite l’ostracismo: si impedisce a qualcuno di partecipare all’assemblea perché ritenuto pericoloso per la sicurezza dello stato stesso, esiliandolo dalla polis, estromettendolo dalla comunità.
Poco cambia se invece di scrivere il nome su un frammento di terracotta si manda una PEC o altra comunicazione ufficiale.
Tra tutti gli studiosi che si occupano di questi temi, il prof. Luciano Floridi ha recentemente definito la cittadinanza digitale come la capacità di ogni individuo di partecipare alla società online, e che deve essere intesa come un’estensione, o per meglio dire una trasformazione, della cittadinanza tradizionale: è quell’insieme di diritti e doveri che, grazie al supporto di una serie di strumenti e servizi, mira a semplificare il rapporto tra cittadini, imprese e pubblica amministrazione tramite le tecnologie digitali. Ma chi stabilisce le regole di questa cittadinanza digitale? Possono essere i fornitori dei servizi a stabilire le regole oppure queste devono essere stabilite dal legislatore? Appare infatti evidente che senza una regolamentazione chiara la cittadinanza digitale non sia più una opportunità, e la rete può trasformarsi un luogo virtuale in cui ciascuno decide le regole del proprio perimetro.
Sarebbe inoltre auspicabile e necessario avviare una riflessione sui motivi che hanno condotto gli Stati a demandare a degli enti privati le possibilità di interazione sociale, ben prima della pandemia di Covid 19. Senza interrogarsi su questo la tecnologia, oggi alla portata di tutti, rischia di essere uno strumento con cui, invece che puntare all’inclusione e all’innovazione, si continuano a veicolare messaggi che amplificano le spaccature della società.
Prova ne sono le recenti dichiarazioni di Andrew Torba, CEO del servizio di messaggistica on line Gab: in una recentissima intervista ha affermato di essere in contatto con il team del presidente Trump per l’apertura di un conto, di un servizio di messaggistica e di una piattaforma video. Gab sta aggiungendo fino a 700.000 nuovi utenti al giorno, ha affermato Torba, e ha avuto più di 40 milioni di visitatori unici nell’ultima settimana. Questo vuol dire che, nell’impossibilità di utilizzare i “vecchi” sevizi, potrebbe nascerne uno nuovo tramite cui determinati messaggi potrebbero continuare ad essere veicolati senza controllo, proprio perché il nuovo servizio non appartiene a quelli che hanno già autonomamente provveduto a silenziare determinati soggetti.
Cosa potrebbe impedire il realizzarsi di questo scenario? Cosa può impedire la nascita del risentimento dei nuovi Alcibiade dell’era dei social? Solo colmare il vuoto regolamentatorio, non con iniziative di singoli, per quanto influenti, ma tramite provvedimenti che riaffermino la centralità della legge.
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