L’ambizioso progetto del ministro dell’istruzione Renato Brunetta mira a riformare le modalità di reclutamento dei dipendenti pubblici, semplificando le modalità di selezione dei candidati e digitalizzando le procedure, con l’obiettivo di favore un celere ricambio generazionale.
Un ruolo importante verrà svolto dalle tecnologie dotate di intelligenza artificiale, che varranno impiegate sia per la fase di selezione dei curricula dei candidati sia per lo svolgimento di un’unica prova digitale (un test a risposta multipla), non considerando più l’utilizzo di carta e penna.
Ma in che modo l’A.I. può supportare il processo di selezione pubblico? In primo luogo modificando i meccanismi di selezione dei candidati: sarà più facile selezionare soggetti provvisti di competenze tecniche specifiche (ingegneri, analisti ed esperti di progettazione). In questo modo il procedimento potrebbe essere nativamente più celere, riducendo, o in alcuni casi eliminando, le graduatorie a scorrimento, che nella maggior parte dei casi in passato hanno avuto una durata pluriennale.
Inoltre, l’utilizzo di strumenti informatici ridurrà la durata dei test, con prove che dureranno circa un’ora (digitali e a crocette).
Il coordinatore l’integruppo parlamentare sull’intelligenza artificiale, nel corso di un’interrogazione parlamentare, ha posto un quesito fondamentale: quali tutele verranno garantite ai candidati attraverso una modalità di selezione ibrida tra software applicativi e competenze umane.
A tal proposito si rammenta che il regolamento europeo GDPR ha precisato il diritto dei candidati a non essere valutati soltanto da procedure automatizzate, circa la selezione delle competenze, e il principio per cui la procedura di selezione non può essere delegata a intelligenze artificiali senza effettive garanzie.
La questione che di fondo va affrontata ad ampio raggio riguarda l’effettivo intervento degli algoritmi nei processi decisionali, considerando il fatto che gli effetti della potenziale sostituzione dell’attività umana possano generare effetti, nel merito della sfera giuridica del destinatario. A tal proposito il T.A.R. Lazio, con la sentenza n. 13692 del 2020 ha recentemente disposto che il procedimento amministrativo digitale “deve consentire l’accesso al “codice sorgente (ossia alla “struttura base” del software adoperato) ove tale accesso risulti funzionale alla determinazione finale.
Malgrado il fatto che le tecnologie consentono, sostanzialmente, di ridurre i tempi procedurali e garantire l’imparzialità dei procedimenti, questa effettiva integrazione non può manifestarsi sulla base della violazione dei principi fondamentali che muovono l’attività amministrativa, per cui, le procedure informatiche, applicate ai procedimenti devono essere intese quali strumenti di semplificazione dell’azione amministrativa.
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