Quella fra Trump e Twitter è una storia che non ha inizio nelle ultime settimane, ma trova negli anni addietro un pregresso conflitto tra il presidente degli Stati Uniti d’America e Jack Dorsey, ceo di Twitter, al quale i followers hanno spesso domandato di verificare la veridicità dei tweet del presidente statunitense.
L’ultimo episodio di questo conflitto ha avuto luogo nei giorni scorsi, scatenato da due tweet del presidente americano ed ha fatto riemergere tutte le questioni ancora aperte del complesso rapporto tra i social e la politica, mettendo in evidenza le considerevoli “restrizioni allentate” di cui godono i politici in merito alla pubblicazione di notizie tramite i social media.
Nel primo tweet il Presidente USA si era espresso sul tema del voto per corrispondenza definito come potenzialmente soggetto a brogli, ed è stato bollato da Twitter come “inappropriato”, perché, a detta della società, conteneva informazioni potenzialmente fuorvianti, facendo poi seguire la comunicazione ai followers di verificare realmente i fatti ivi contenuti.
Trump ha così attaccato Twitter, accusando la società di voler interferire con le elezioni presidenziali in programma per il 3 novembre 2020, minacciando di istituire una specifica commissione parlamentare, il secondo dei post di Trump ritenuto inappropriato da Twitter, riguardante i disordini di Minneapolis, è stato invece solo parzialmente oscurato perché ritenuto contrario alle regole di utilizzo del social network.
In questo caso Trump avrebbe violato le regole «sull’incitamento alla violenza»: il fatto che questo secondo cinguettio sia stato solo parzialmente oscurato invece che rimosso o reso illeggibile è espressione delle stesse regole di Twitter, dove si legge che risulta possibile non rimuovere i contenuti che esaltano la violenza, dal momento che questi elementi «talvolta rientrano nell’interesse pubblico circa la loro visualizzare i tweet, che in alternativa verrebbero eliminati».
In seguito a tale decisione il Presidente USA ha emanato un executive order, mediante il quale ha sospeso l’immunità legale delle piattaforme online per i contenuti pubblicati, sostenendo di difendere in tal modo la libertà di espressione dalle fake news dei media, accusando ogni social che consente la comunicazione di massa di “formare l’interpretazione del lettore a proprio piacimento”.
Il contenuto dell’executive order è da analizzare proprio in relazione al secondo post: il cardine del provvedimento è la reinterpretazione di una legge del 1996, il Communications Decency Act, che protegge i siti Web e le società tecnologiche dalle azioni legali. La modifica più rilevante sarebbe quella dell’art. 230 del Communication Decency Act, nel quale viene sancita per le piattaforme l’immunità in merito ai contenuti caricati dai terzi. Si tratterebbe di un provvedimento rivolto non solo contro la piattaforma di Dorsey, ma che funzionerebbe come monito preventivo per tutti quei social media che potrebbero prendere in considerazione l’adozione di politiche di “etichettatura” di verifica simili a quelle di Twitter.
Quanto accaduto, lasciando da parte ogni riferimento politico, riporta in primo piano il dibattito sulla libertà di espressione su internet, trattando di un effettivo superamento della linea di demarcazione dei diritti concessi dalla normativa americana a favore di una esposizione di notizie che integra una interpretazione della narrazione degli eventi resa “di parte”, della politica.
La questione non è relegata solo agli USA, anche in Europa sono già emerse preoccupazioni analoghe, considerando che è in vigore la Direttiva 2000/31 CE, omologa del Communication Decency Ac, nella quale viene sancita l’immunità delle piattaforme online verso i contenuti caricati dai terzi, esonerandoli da ogni responsabilità editoriale.
Questa politica, che ha origini negli anni 2000, e che anche in Europa è in fase di revisione – sebbene non in seguito a contrasti così accesi come nel caso americano – non è più al passo con i tempi, considerando che i social ormai sono un mezzo di comunicazione utilizzato non solo dai comuni cittadini ma anche da intermediari molto potenti, che con le loro esternazioni possono condizionare la stabilità e l’economia di interi Paesi.
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