Sono passati quattro anni dall’entrata in vigore del GDPR, ed in Italia, sistemi e controlli sono sempre più smart, ma talvolta gli obiettivi delle telecamere presenti ormai ovunque non sono troppo rispettosi della privacy. Nelle città italiane, nel 92% dei casi i sistemi di videosorveglianza non sono rispettosi del Regolamento Ue sulla protezione dei dati personali e ciò viene sottolineato, nello specifico, da un’indagine condotta da Federprivacy insieme ad Ethos Academy: su circa 2.000 individui, unicamente l’8% degli intervistati che svolge un esercizio pubblico dotato di un sistema di videosorveglianza sostiene di aver letto un cartello informativo relativo alla presenza di telecamere, dove sono indicati i corretti riferimenti normativi e le informazioni che devono essere fornite ai destinatari.
Nel 38% dei casi non sussiste alcun cartello che possa informare i cittadini della presenza delle telecamere, malgrado nel restante 54% dei casi, gli interessati possono prendere atto del fatto che i cartelli informativi possono essere esposti ma di fatto non contengono le informazioni necessarie o appaiono inadeguati a causa di riferimenti normativi sbagliati, o eventualmente sbagliati.
Stendendo un commento sul Rapporto “Videosorveglianza & Privacy tra cittadino, professionisti e imprese”, Nicola Berardi, ossia il presidente di Federprivacy, sostiene che il Gdpr ha, senza dubbio, segnato una svolta storica per la tutela della privacy dei cittadini, ma bisogna evidenziare il fatto l’installazione dei sistemi di videosorveglianza è ben lontana dall’essere conforme verso le regole in materia di protezione dei dati personali, e ciò rappresenta un fenomeno preoccupante, specialmente se si considera che sono trascorsi diversi anni da quando i garanti europei hanno pubblicato le Linee Guida n.3/2019, che presentano ogni chiarimento necessario.
La responsabilità ricade in misura maggiore verso proprio progettisti e installatori, che attraverso diverse dichiarazioni fornite, la maggior parte degli “intervistati” ha ammesso di avere piena coscienza della complessità dei rischi che comportano le sanzioni previste dal GDPR. Nel sud Italia, pare solo il 3% delle aziende (di professionisti intervistati) sono dotate di un Data Protection Officer e solo il 15% dei professionisti avverte la necessità di approfondimenti in materia.
Una volta esaminato il rapporto, il CEO di Ethos Academy, Andrea Sandrolini, la cui società è specializzata nel settore della formazione dei professionisti della sicurezza, collaborando nell’emissione di questi dati ha affermato che “dai risultati emerge che c’è ancora tanto da fare. Il GDPR ha portato in dote un cambiamento radicale che doveva permettere ai professionisti della sicurezza di formarsi e adeguare il parco impianti installato alla norma, ma in grande parte così non è stato. Occorre quindi una attenta riflessione sulla necessità di una formazione adeguata e puntuale per gli addetti ai lavori del comparto, che deve rimboccarsi le maniche per sviluppare le proprie competenze e mettere in sicurezza la propria impresa e il committente”.
In generale, il tema videosorveglianza e GDPR è trattato dalle recenti linee guida “Guidelines 3/2019 on processing of personal data through video devices” adottate dall’European Data Protection Board in data 10 luglio 2019 che superano i provvedimenti adottati dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali precedenti. L’EPDB precisa, infine, che tutte le basi giuridiche possono essere utilizzate per giustificare la necessità di un impianto di videosorveglianza sconsigliando, però, l’utilizzo del consenso poiché per esempio all’interno dei rapporti di lavoro risulta difficile per i lavoratori fornire un consenso libero ed esplicito a causa delle eventuali ritorsioni che potrebbero verificarsi verso di loro: in tale circostanza appare necessario procedere e documentare il bilanciamento degli interessi portati dal titolare e i diritti sacrificati dei privati cittadini e lavoratori.
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